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moldeke, un nuovo inizio?

È vero. La notte ha un profumo diverso per ogni ora che passa.

È vero. L’alba non è unica ma si divide in almeno cinque parti, in tutto sette, ma è l’aurora che è divisa in due distinte situazioni.

Mi accorgo dei miei limiti quando a queste parti non do che un numero consecutivo.

Ho la camicia che mi pesa sulle spalle, forse è l’umidità, o forse che sono troppo stanco. Giro il pacchetto tra le mani da un po’, e fumo da parecchio quella che mi sembra un’unica sigaretta.

Un dito di una mano sta diventando progressivamente paonazzo, non ne capisco il motivo, vorrà dire che lo metterò in un bicchiere d’acqua ghiacciata. Non ho mica voglia di andare in ufficio stamattina. Trascino lo sguardo sul libro che mi ostino a voler leggere, ma mi respinge quella scrittura acerba, cruda. Non capisco come abbia fatto a scrivere determinate cose, non riesco a giustificare questa costante ricerca di sopraffazione di un uomo sull’altro. Provo un senso di nausea, che non so se provocato dalla società che mi circonda o da lei che ha sudato con me tutta la notte. Davvero mi chiedo. Non riesco a rispondermi. Salvador mi porta il caffè, direttamente dalla moka alla mia tazzina, senza passare per intermediari. Non lo so, ma mi solleva che questo caldo liquido non si sia soffermato a decantare su un tavolo, magari per un errore del manovratore di moka o in attesa in una tazzina del corredo buono, ecco: che la tazzina sia in mano mia mi da un senso di potere, “vieni tra le mie mani, nessun ti farà male”.

Il divano che mi ospita è un divano a fiori, lo schienale soffice e alto mi da la possibilità di posare pure la testa, cosa non comune da trovare per tipo come me, con queste dimensioni. Chissà di chi era prima di essere portato al campo rom. Magari non è neanche detto che ci sia venuto di sua spontanea volontà!

Rido.

Mi sveglio dallo stato di torpore. “ma che freddo fa, o che freddo fa … basterebbe una carezza” …mi sono immaginato tante volte di cantarla al karaoke con una mia personale interpretazione, non compresa dagli astanti … “tu bastardo mi hai delusa hairubatodalmiovisoquelsorrisoche, non tor ne rà” … oppure al mio matrimonio … ma in quel caso mi è andata meglio!

Sposto i suoi bellissimi piedi. Una volta andavo matto per i piedi, poi è diventata una moda e quindi mi sono buttato sulle mani! Anche se mi ritengo un cultore di una certa curva dell’interno coscia … ma questo è per palati fini, e stamattina non ho proprio voglia di darmi spiegazioni troppo complicate.

Pantaloni apposto, anche meglio dopo una sommaria pulizia manuale, camicia tutto sommato presentabile e giacca che mi da un’aria! Calzini in tinta con qualcosa che ho a casa … non trovo le scarpe ..  cazzo … dove le posso aver messe? No no no .. non importa ne ho un paio in macchina, da una settimana che dovevo toglierle, hai visto che servivano?

“Salvador … il cappello …¿y puede?” … me lo lancia e si inchina: è un si!

Il cappello alla Tom Waits è indispensabile per un look finto trasandato, che maschera il mio disordine totale. Come quella volta in crociera, tutti vestiti da gala e io, jeans e polo dentro i pantaloni, con l’ennesima birra, ad  ascoltare quel simpatico complessino, unico tra gli auditori aa apprezzare i controtempi del bassista e la velocità del batterista … per poi applaudire sentitamente e ridere di gusto … ovviamente unico tra i presenti.

Apro le finestre e mi faccio colpire dal vento.

Entro in ufficio. Mi sento come un elastico che mi cinge i fianchi e mi tende fuori di qui, ma per ora sono ancora abbastanza forte da rimanere dentro.

“Come stanno le dita?” … ah, si … le dita …”bene, si credo” le guardo e scopro che me le sono chiuse con la porta del bagno all’urlo di “lavoro di merda”.

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